domenica 1 aprile 2018

Pasqua tra le Vette dell'umanità


Liberatore e Legislatore del Popolo Ebraico, Mosè definì attraverso il suo sistema di pensiero e d’azione uno scorcio prospettico all’interno del quale è possibile includere e inserire molteplici fattori riguardanti l’immigrazione. Il termine “Pasqua”, (letteralmente traducibile con il verbo “pāsaḥ”, ossia “passare oltre”) è etimologicamente riconducibile alla solennità attraverso la quale si rievoca, santificando, l’atto di liberazione del popolo ebraico. Mosè, secondo quanto affermato all’interno delle trattazioni religiose che costituiscono le Sacre Scritture, sciolse dal vincolo di schiavitù il suo popolo, quotidianamente sfruttato e sottoposto a lavori forzati descrivibili mediante una disumana forma di schiavitù, guidandolo attraverso il deserto in un viaggio durato quarant’anni. La Pasqua, quindi, non è una festa per risiedenti o sedentari. La festività si rivolge ai popoli nomadi, ai migranti che si accingono a compiere un Viaggio spesso tortuoso che porterà loro al raggiungimento di una Terra Promessa. La Pasqua parla a coloro che nel corso dell’incedere del tempo si sono impegnati attivamente per fabbricare passaggi laddove sono stati innalzati al cielo sbarramenti artificiali che impediscono la traversata, a coloro che sono sempre disposti a tendere una mano soccorrendo umanamente i più deboli, a coloro che non si arrendono quando riscontrano la presenza di ostacoli che intralciano il cammino, il percorso che conduce il singolo e ignoto viaggiatore alla scoperta della propria essenza. Sarà il giorno in cui verranno esaltati gli “atleti della parola pace”, come definì Erri De Luca. In un mondo dove la misericordia e solidarietà sono concetti ancor troppo astratti e lontani dalla concezione comune, il 10 marzo alle ore 21:00, Benoît Ducos, una guida alpina francese, soccorse immediatamente una migrante incinta, accompagnandola successivamente oltre il confine tra l'Italia e la Francia. Accusato di aver violato le leggi sull'immigrazione in vigore, il Mosè delle Alpi rischia una multa che potrebbe esser estesa fino a una somma economica pari a trentamila Euro. Non si esclude, tuttavia, la possibilità dell’attuazione della pena detentiva. I fatti, riportati dalla testata giornalistica “Dauphiné Libéré”, offrono una chiave interpretativa adatta a comprendere l’accaduto secondo una meticolosa attenzione per i particolari portati all’attenzione della stampa internazionale.
Passo del Monginevro, 1900 metri di altitudine. La guida alpina si imbatté con alcuni colleghi in un gruppetto di sei persone, stremate dal gelo causato dalle forti intemperie unite in perfetto connubio con raffiche di vento che, sferzando, si abbattevano duramente sui loro esili corpi, ormai stremati e privi di forza. Per sfuggire ai serrati controlli della frontiera, avevano camminato per ore immersi totalmente nella neve. “Abbiamo capito che tra questo ristretto gruppo di profughi vi era una donna incinta - ha spiegato Ducos - Così ho preso la decisione di portarla direttamente in ospedale senza alcuna esitazione.”
La giovane venne caricata immediatamente a bordo di un’autovettura con gli altri migranti, ma arrivati alle porte di Briançon al veicolo venne dato l’ordine di arrestarsi istantaneamente per ispezione e controlli doganali. Gli agenti, dopo essersi resi conto della gravità della situazione, prestarono le prime cure mediche alla madre, la quale nel giro di breve tempo fu accompagnata in un’idonea e adatta struttura sanitaria che fosse in grado di assisterla, nella quale diede alla luce il piccolo Daniel. Gli altri cinque compagni del Viaggio della Disperazione furono condotti alla stazione di Polizia di Briancon per accertarsi della loro provenienza e identità. Non fu immune all’ordinario trattamento burocratico e giuridico la guida alpina, che venne trattenuta dalle forze dell’ordine con l'accusa di aver favorito il processo di immigrazione clandestina, permettendo a diversi soggetti di accedere illegalmente all’interno del Paese.
Ducos potrebbe, quindi, esser ritenuto colpevole per aver svolto un’azione di salvataggio nei confronti di sei soggetti dispersi sulle montagne? Colpevolizzare quest’uomo significherebbe incominciare a delineare marcatamente la linea che denota il lento degrado nel quale volge un pianeta impregnato di corruzione morale come la Terra. Secondo quale principio etico un eroe che salva vite umane dovrebbe esser sottoposto a una pena pecuniaria o detentiva?
Dovremmo imparare a riconoscere i nostri confini e a proteggerli in maniera sempre più feroce o bisognerebbe che ognuno imparasse ad aprire in questi ultimi innumerevoli varchi per offrire il proprio aiuto rendendosi disponibile? Se veramente vogliamo lasciare di Noi un’impronta che ci permetta di esser ricordati dai posteri dovremmo incominciare a tralasciare l’atteggiamento prevalentemente ostile, bigotto, rigido e severo che definisce il nostro essere. Se si abbandonasse, però, in via del tutto definitiva la superficialità che caratterizza la nostra condizione esistenziale, ci potremmo accorgere di quante somiglianze e analogie intercorrono tra la nostra personalità e quella di un altro soggetto presentante caratteristiche e tratti somatici diversi dai nostri. Siamo fratelli della stessa Madre Terra e nel giorno della Pasqua dovremmo incominciare a rendercene conto, perché solo tramite il confronto e il dialogo è possibile scoprire veramente chi siamo e perché siamo qui, lasciando perdere i confini territoriali che sono nati con l’intento di separare e dividere, perché non esiste alcuna barriera architettonica naturale o artificiale che non sia espressamente e dichiaratamente voluta, approvata e accettata dalla mente umana ormai priva di valori.

Buona Pasqua a tutti Voi,

Francesco Pivetta

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