venerdì 24 dicembre 2010

Sinai, eritrei schiavi sotto terra

Don Zerai a Tgcom: "Dobbiamo salvarli" Partono dal Corno d'Africa con un sogno: raggiungere Israele per sfuggire da fame e guerra. Ma per la maggior parte di loro risulta fatale l'attraversamento dell'Egitto. Non è il deserto il loro incubo bensì i predoni del Sinai. Per centinaia di eritrei il viaggio della speranza diventa una tortura, un sequestro di persona. I predoni li catturano, li derubano di soldi e documenti, rendendoli di fatto schiavi. A loro non resta che un telefonino. Da quell'apparecchio passa la loro libertà: i trafficanti consentono loro di chiamare i parenti, gli amici e chiunque possa pagare un riscatto e rivederli vivi e liberi. Qualcuno aveva anche cercato di negare l'esistenza di un traffico simile. Con la testimonianza di un sopravvissuto non è più possibile avanzare dubbi: il quotidiano L'Avvenire racconta la storia di Adam, 22 anni, liberato solo perché suo fratello Michele è riuscito a racimolare i settemila dollari necessari per il riscatto. Settemila dollari, il prezzo per porre fine a un calvario fatto di violenza e pestaggi con spranghe. I sequestrati vengono tenuti rinchiusi in container sotto terra in attesa che quel telefono squilli per dire che "sì, i soldi ci sono". Con settemila dollari c'è anche la libertà. Il primo a scoprire questa tratta e gridarne l'atrocità è stato don Mosè Zerai, sacerdote eritreo. La commissione Esteri della Camera lo ha ascoltato e si è mossa (attraverso la Farnesina) per fare pressione sul Parlamento Europeo. L'unica speranza, dice don Zerai a Tgcom "è che l' Egitto intervenga. Nessun altro può fermare questa violenza". Da chi è partita la denuncia dei rapimenti? "Sono stato io per primo a lanciare l'allarme su questa drammatica situazione. Ho fatto il primo appello il 24 novembre e da quel momento L'Avvenire ci ha seguito giorno per giorno ed è riuscito a raccogliere questa testimonianza" Sarà stato difficile convincere Adam a raccontare il suo dramma. Nonostante sia stato liberato non è ancora al sicuro? "E' stato difficile perché ci sono vari rischi che corrono ancora lui e gli altri rilasciati. Anzi, Adam e suo fratello Michele sono stati coraggiosi a parlarne". Quello di Adam si può considerare un caso già risolto. Così si conferma questa situazione? "Sì, perché qualcuno tendeva a negare il fenomeno e invece con questa intervista si è chiarito che è tutto vero. E ci sono persone, come Adam, che possono testimoniare di essere già passati dall'inferno. Ad oggi quante sono le persone vittime dei predoni? "Sono 250 gli eritrei nelle mani dei trafficanti, ottanta dei quali erano prima in Libia e poi sono stati respinti nel Mar Mediterraneo quando tentavano di venire verso l'Italia. Questi ottanta, dopo essere stati respinti, sono stati portati nelle varie prigioni libiche. Da lì scarcerati grazie alle pressioni dell'Italia e dell'Europa. E poi, non potendo seguire la vecchia rotta, sono andati verso l'Egitto per attraversare il confine con l'Israele. Così si sono imbattuti nei trafficanti. Ma secondo altre fonti ci potrebbero essere più di 1500 persone di nazionalità diversa nelle mani dei predoni" Lei come riesce a mettersi in contatto con le persone sequestrate? "Sono in diretto contatto con loro perché i trafficanti autorizzano le vittime a chiamare i loro parenti per il riscatto. Così riesco ad entrare in contatto, fingendo di essere uno dei loro familiari. Almeno una o due volte al giorno li sento per capire qual è la loro situazione" A livello diplomatico lei come si sta muovendo? "Noi abbiamo avuto un unico colloquio venerdì scorso con l'ambasciata egiziana presso la Santa Sede che ci ha convocato. Li abbiamo informati della situazione comunicando loro sia nelle mani di chi sono sia delle testimonianze che abbiamo raccolto. Abbiamo anche detto loro dove si trovano. Ma ancora il governo egiziano non si muove anche se è l'unico che può intervenire. Eppure ancora non lo fa" Quale deve essere il prossimo passo per sbloccare la situazione? "Soltanto l'Egitto deve intervenire per tirarli fuori. Che si utilizzino azioni militari o diplomatiche oppure che si intervenga attraverso trattative con i capi tribù, non importa. L'azione dell'Egitto è l'unica via per liberarli perchè non c'è altro Stato che possa intervenire" Cinzia Petito

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