lunedì 12 luglio 2010

Diritto d’asilo in frantumi. Gli eritrei ancora nelle gabbie libiche

di Fulvio Vassallo Paleologo Un silenzio plumbeo continua a gravare sulla sorte dei circa duecento eritrei deportati da Misurata a Brak, in pieno deserto, per avere rifiutato di firmare, con il pretesto di una offerta di regolarizzazione per lavoro, dei moduli di identificazione predisposti dalla loro ambasciata. Adesso anche gli ultimi telefoni tacciono, e probabilmente le guardie libiche, che finora hanno fornito satellitari e vie di fuga, a pagamento naturalmente, hanno ricevuto nuovi ordini, di impedire qualsiasi comunicazione con l’esterno. Intanto sembra ancora in corso la raccolta delle adesioni all’”accordo di integrazione” che dovrebbe permettere agli eritrei di uscire dal carcere militare nel quale sono rinchiusi per essere trasferiti in un comune libico nel quale sarebbero obbligati a svolgere “lavori socialmente utili” sotto il controllo della locale prefettura. Un accordo truffa che passa attraverso la rinuncia alla richiesta di asilo, che consentirà la identificazione dei profughi da parte dell’ambasciata eritrea, e che permetterà a Gheddafi e a Berlusconi di continuare a dire che in Libia non esistono richiedenti asilo, e che dunque le pratiche di respingimento collettivo, e quindi di detenzione, si rivolgono soltanto verso “migranti illegali”, che vanno puniti per avere fatto ingresso irregolare in Libia e deportati nei paesi di origine. Anche se si tratta di somali, sudanesi, nigerini, togolesi, nigeriani o eritrei che potrebbero chiedere asilo o un altro status di protezione internazionale. Anche se le punizioni con i bastoni o con i manganelli elettrici violano i più elementari diritti dell’uomo. Tutti assimilati dunque alla “comoda” (per governi e polizie) categoria di migrante economico (da sfruttare e) da respingere, quando la sua presenza non conviene più, una logica che l’Europa ha insegnato agli stati africani, prima paesi di transito, adesso come la Libia, anche paesi di destinazione. E da giorni circola sui giornali italiani, persino sul Giornale di Sicilia di Palermo, la falsa notizia della “soluzione del problema”, con l’annuncio del rilascio ai profughi eritrei di permessi di soggiorno per lavoro. Un annuncio che non ha significato la libertà per nessuno. Una realtà di comodo nella quale tutti i principali attori di questa vicenda recitano le parti a memoria, con un alternarsi sistematico di abusi e violenze ai limiti ( e oltre) della tortura, seguiti poi da gesti di apparente apertura, come le “visite guidate” in alcuni centri di detenzione che le autorità libiche concedono periodicamente per tentare di dimostrare il pieno rispetto dei diritti umani dei detenuti. Secondo le ultime notizie di fonte libica, gli eritrei sarebbero “ospiti temporanei” della Grande Jamahiria, trattati con tutti i riguardi, al punto che persino le organizzazioni umanitarie consorziate con l’IOPCR, ente libico che dovrebbe assistere i migranti, come l’OIM, la Mezza Luna Rossa, e fino a poco tempo fa anche l’UNHCR, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, li possono visitare, garantendo in questo modo che non fossero esposti ad abusi. Adesso, dopo l’ennesima visita guidata di qualche ora, avvenuta forse in una giornata di domenica, ripeteranno la stessa litania, buona solo per i tanti che si sentono con la coscienza a posto solo perché queste tragedie avvengono in un paese africano, ormai lontano dalle pulsioni dell’opinione pubblica e senza scomodi testimoni. Addirittura, dopo il clamore suscitato dalla vicenda, secondo una ANSA dell’11 luglio, che cita come fonte l’agenzia di stampa libica Jana, Gheddafi, avrebbe ordinato venerdì sera a Tripoli, un’inchiesta sulla situazione degli emigrati eritrei che si trovano in Libia. Come riferisce l’ANSA, “in un recente comunicato del Ministero degli esteri libico, anch’esso apparso sulla Jana, la Libia ha smentito con vigore le informazioni riportate dalla stampa straniera sul trattamento degli emigrati eritrei rinchiusi nei centri di detenzione. Questi eritrei, riporta il comunicato del Ministero degli Esteri libico, sono 400 e soggiornano nei campi di detenzione per un periodo che va dai 6 mesi ai 2 anni durante i quali sono trattati, sempre secondo la nota, «in un’ottica umanitaria, come ospiti in attesa di ritornare nel loro Paese d’origine». Ospiti che quando saranno ricondotti nel loro paese di origine, magari dopo essere stati costretti a firmare richieste di rimpatrio, o essere stati per qualche tempo comuni migranti economici, potranno essere sottoposti ad altre violenze e torture. Secondo la Reuters, che cita la stessa agenzia di stampa libica Jana, "ci sono circa 400 migranti illegali dell’Eritrea detenuti in centri in Libia e vengono trattati come ospiti temporanei". "Le autorità libiche hanno aperto i centri di detenzione agli organismi umanitari e ai rappresentanti diplomatici perché testimonino le condizioni e il trattamento dei migranti", ha detto l’agenzia. "E’ una cosa che di per sé smentisce le accuse di maltrattamento". Insomma l’opinione pubblica italiana può dormire sonni tranquilli, il sonno dell’ignoranza e della vergogna, i “clandestini” dalla Libia non arriveranno più ed è bene che vadano isolati quei pochi mestatori che si ostinano a chiedere il riconoscimento del diritto di asilo dei profughi eritrei detenuti in quel paese ed il loro trasferimento in un paese firmatario della Convenzione di Ginevra, in grado di garantire effettivamente la protezione internazionale. Anche se in questo senso si è espresso anche ECRE che costituisce il massimo organismo a livello comunitario per la difesa dei rifugiati. E alcuni deputati europei hanno richiesto di convocare i rappresentanti della Libia e dell’Italia davanti alla Commissione per i diritti dell’Uomo del Parlamento Europeo, per chiarire la vicenda degli eritrei deportati da Misurata a Brak. Magari, tra qualche giorno, qualcuno ci verrà a raccontare che a Brak gli eritrei sono alloggiati in un albergo a cinque stelle e che questa emergenza se la sono inventata i giornalisti e gli antirazzisti italiani.. Alcuni dati certi smentiscono le informazioni più ottimistiche di fonte libica, date per buone, oltre che dalla maggior parte della stampa italiana, dai nostri esponenti di governo, preoccupati soltanto di non guastare il clima di collaborazione instauratosi con Gheddafi dopo il Trattato di amicizia del 2008 , un accordo internazionale che costerà agli italiani cinque miliardi di euro in venti anni. n Libia le retate, gli arresti sommari e le deportazioni continuano fino a questi giorni e le conferme non vengono solo dai rapporti di Amnesty International (2010), e di Human Rights Watch (2009) ma dal governo libico e dalle missioni dell’Agenzia FRONTEX e del Parlamento Europeo. Innanzitutto è provato che la Libia pratica da anni e su vasta scala arresti e deportazioni di massa, anche se le missioni internazionali non si accorgono sempre che tra i cd. migranti economici “illegali” che vengono deportati ve ne sono a migliaia che potrebbero chiedere asilo o protezione internazionale. Per confermare questo dato basta leggere il Report della Missione tecnica inviata in Libia dal 28 maggio al 5 giugno del 2007 dall’agenzia comunitaria per il controllo delle frontiere esterne FRONTEX, secondo la quale nel solo 2006 erano stati 32164 i migranti illegali “detained” in Libia e 53842 quelli “deported” verso i paesi di origine. E sono noti i dati contenuti nelle relazioni per il 2005 ed il 2006 della Corte dei Conti che ha documentato il finanziamento da parte italiana di oltre 5300 rimpatri dalla Libia verso i paesi di origine. Altro che ospiti! E sono tutte circostanze ben note al nostro governo, anche se negli ultimi anni si è tolto alla Corte dei Conti il potere di indagare su queste operazioni di vera e propria deportazione. Nel settembre del 2009, Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto, "Scacciati e schiacciati", che documentava la politica di interdizione dell’Italia e il rinvio sommario di migranti e richiedenti asilo in Libia. Il rapporto documentava inoltre i frequenti abusi subiti dai migranti durante la detenzione in Libia, così come la pratica generale di detenere i migranti “irregolari”per periodi indefiniti. E gli stessi abusi sono confermati da un rapporto ancora più recente di Amnesty International. Secondo Bill Frelick, direttore del Refugee Program di Human Rights Watch Il governo italiano “dovrebbe offrire immediatamente accoglienza ad almeno 11 Eritrei che aveva respinto, in precedenza, in Libia, dove ora sono detenuti con la minaccia di deportazione in Eritrea”. "L’Italia non ha mai dato a questi individui la possibilità di chiedere asilo, e adesso essi corrono il grave rischio di ritrovarsi scaricati nel deserto o deportati in Eritrea," ha dichiarato Frelick, "L’Italia è responsabile per le persone che ha respinto in Libia, un Paese senza legge sull’asilo che li ha brutalizzati. È l’Italia che li ha esposti a questo pericolo, ed è l’Italia che da tale condizione dovrebbe toglierli." Alcuni di loro sono stati in grado di contattare Human Rights Watch. Hanno dichiarato il timore che riempiendo con le proprie generalità questi moduli forniti dall’ambasciata Eritrea, metteranno in pericolo le proprie famiglie in Eritrea e forse spianeranno la strada per la propria deportazione. "Il governo eritreo considera coloro che scappano dal Paese come dei traditori" ha detto Frelick, "Che la Libia richieda loro di fornire al governo da cui sono scappati le proprie generalità, dimostra che sono ancora in pericolo in Libia." Secondo i media italiani, 140 dei detenuti eritrei rinchiusi a Misurata hanno firmato i moduli. Alcuni di loro hanno riferito a Human Rights Watch che quanti hanno firmato lo hanno fatto sotto costrizione o per inganno, e che hanno paura delle conseguenze per le proprie famiglie ancora in Eritrea. Sempre secondo HRW, le autorità libiche stanno usando mezzi durissimi sui detenuti per costringerli a firmare i moduli. I detenuti hanno informato Human Rights Watch che 10 dei 205 Eritrei che erano stati trasferiti dal centro di detenzione di Misurata a quello di Brak ( Al Biraq), erano stati portati all’aperto e picchiati. Il 7 luglio, un gruppo rimasto a Misurata, composto da 31 uomini, 13 donne e 7 bambini, ha detto di essere stato picchiato dopo aver rifiutato nuovamente di riempire i moduli. Il ministro Vito in un recente dibattito parlamentare, pochi giorni fa alla Camera, ha invece riferito come il 24 giugno scorso, l’assistente dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati abbia incontrato a Tripoli “il Ministro degli esteri libico ed ha espresso la gratitudine dell’Alto commissariato per la sensibilizzazione svolta dal Ministro Frattini nei confronti delle autorità libiche”. Con quali risultati si è già visto e, purtroppo, lo si vedrà ancora in futuro. Lo stesso ministro ha poi comunicato che “l’Alto commissariato potrà proseguire ufficiosamente nell’assistenza dei rifugiati in Libia e, contestualmente, avvierà un negoziato per un memorandum di intesa, che costituisca il quadro giuridico per l’operatività in Libia in forma ufficiale”. Secondo Vito, in merito, poi, al trasferimento di immigrati irregolari eritrei dal centro di Misratah a quello di Sebha, il Ministero degli affari esteri fa sapere che, secondo la nostra ambasciata, vi sarebbero stati tumulti nel centro di Misratah dovuti, verosimilmente, alla distribuzione, da parte delle autorità libiche, di formulari per selezionare personale da adibire a lavori socialmente utili. Gli interessati, però, avrebbero scambiato tali formulari per documenti finalizzati al rimpatrio in Eritrea”. Sempre secondo Vito, “Il nostro ambasciatore ha incontrato il Viceministro degli esteri libico, il quale ha confermato che le autorità libiche stanno completando la raccolta dei dati personali degli immigrati eritrei, per poi affidarli a diverse shabìe (una sorta di prefetture) ed avviarli a lavori socialmente utili”. Dunque anche per l’Italia, come per Gheddafi, i migranti eritrei non sono richiedenti asilo, ma soltanto dei migranti economici ai quali, se va bene, può essere concesso al massimo un permesso di soggiorno per lavoro. Esattamente quello che da settimane con violenze ed abusi indicibili i libici stanno cercando di estorcere agli eritrei detenuti a Misurata ed adesso trasferiti per punizione a Brak. Il rappresentante del governo dà poi notizia del negoziato in corso tra Libia ed Unione europea per un accordo quadro che comprende “un ampio capitolo migratorio”, aggiungendo che “la Commissione europea è impegnata, conformemente al mandato del Consiglio, ad ottenere dalle autorità libiche anche garanzie sulla tutela delle persone che necessitino di protezione internazionale”. Peccato che nessuno ricordi in Italia la Risoluzione del Parlamento Europeo del 17 giugno scorso, che di fatto impone una sospensione dei negoziati fino a quando la Libia non garantirà il pieno rispetto dei diritti umani. E invece il governo italiano ha approvato il Decreto legge 6 luglio 2010 , n. 102 che proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia. All’art. 4 (Missioni internazionali delle Forze armate e di polizia) si autorizza “ la spesa di euro 2.023.691 per la proroga della partecipazione di personale del Corpo della guardia di finanza alla missione in Libia, di cui all’articolo 5, comma 22, del decreto-legge 1° gennaio 2010, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2010, n. 30, e per garantire la manutenzione ordinaria e l’efficienza delle unita’ navali cedute dal Governo italiano al Governo libico, in esecuzione degli accordi di cooperazione sottoscritti tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani”. Questa è la risposta, con i fatti, che il governo italiano fornisce oggi a quanti hanno criticato, anche a livello internazionale gli accordi di respingimento collettivo avviati nel 2007 e perfezionati nel febbraio del 2009 dal ministro Maroni in missione a Tripoli. Una risposta che produrrà altri respingimenti, altri arresti, ed altre deportazioni come quella, violenta ed ingiustificata, subita dagli eritrei di Misurata. Nel 2009 l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay denunciava le politiche nei confronti degli immigrati che "con una chiara violazione del diritto internazionale, vengono abbandonati e respinti senza un’adeguata verifica del fatto che stiano o meno fuggendo da persecuzioni". Il 15 settembre 2009 la Pillay citava la "tragica evenienza" del gommone di eritrei rimasto senza soccorsi tra la Libia, Malta e l’Italia nel mese di agosto dello stesso anno. E osservava come "la pratica della detenzione dei migranti irregolari, della loro criminalizzazione e dei maltrattamenti nel contesto dei controlli delle frontiere deve cessare.(...) Che cosa è rimasto oggi di quella severa denuncia della detenzione arbitraria, dei respingimenti collettivi in acque internazionali e dei ripetuti casi di omissione di soccorso? Nei mesi scorsi l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per Rifugiati (UNHCR ) aveva anche raccomandato che gli stati di transito si astenessero dal rinviare con la forza in Eritrea persone ai quali fosse stato negato asilo, per il pericolo che gli Eritrei respinti potessero essere sottoposti a detenzione e tortura. Eppure il 5 luglio l’ufficio di Ginevra dell’’UNHCR, quando era già in corso la deportazione degli eritrei da Misurata, si limitava ad auspicare soltanto il reinsediamento di coloro che non possono rientrare nel paese di origine e si trovano in paesi terzi che, come la Libia, non garantiscono il diritto di asilo ed il rispetto dei più elementari diritti dell’uomo, auspicando un maggiore impegno dei paesi europei nell’accoglienza delle persone ridislocate ( resettlement), mentre in un precedente comunicato dello scorso anno si osservava come “the number of individuals resettled from Libya remains low” non più di qualche decina all’anno. A differenza dello scorso anno, silenzio totale da parte dell’Ufficio UNHCR di Roma sulla deportazione violenta degli eritrei in un carcere militare. Un silenzio assordante mentre i profughi da Brak continuano a chiedere aiuto. E non certo per trovare un posto di lavoro. Si può immaginare che siano in corso trattative riservate per restituire almeno una parvenza di operatività all’Ufficio di Tripoli, almeno per i casi già esaminati, anche se la Libia continua a non sottomettersi a nessuna Convenzione internazionale che preveda un qualche riconoscimento effettivo del diritto di asilo. Ma con quali prospettive,viene da chiedersi, quando le pratiche dei respingimenti collettivi, delle retate indiscriminate e delle deportazioni di massa continuano, e soprattutto quando l’Italia e la Libia negano persino l’esistenza in Libia di richiedenti asilo e la stessa Libia non intende aderire alla Convenzione di Ginevra? A queste condizioni sarebbe forse meglio che l’Ufficio centrale di Ginevra dell’UNHCR denunci le gravi violazioni dei diritti dei rifugiati in Libia, in particolare per quanto riguarda gli eritrei e tutti coloro che non sono di fede musulmana, piuttosto che continuare a seguire una linea di basso profilo che non sembra più in grado di garantire una tutela effettiva alle migliaia di richiedenti asilo rinchiusi ed abusati nelle carceri e nei centri di detenzione di Gheddafi. Si può comunque rilevare lo stretto collegamento tra gli attacchi all’Alto Commissariato portati avanti da Maroni e La Russa lo scorso anno, dopo la denuncia dei respingimenti collettivi di richiedenti asilo in acque internazionali effettuati da mezzi della Guardia di Finanza, ed adesso la “temporanea” chiusura degli uffici UNHCR a Tripoli, voluta dai libici perchè l’UNHCR, assistendo i richiedenti asilo avrebbe posto in essere “attività illegali”. Si tratta di fatti incontrovertibili che dimostrano la perfetta “sinergia” tra il governo italiano e quello libico nel negare persino l’esistenza di richiedenti asilo e dunque nel cancellare, non solo in Libia, ma anche nel Mediterraneo ed in Italia, quel poco che rimane del diritto di asilo, un diritto fondamentale della persona affermato, non solo dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e dalle direttive comunitarie, ma anche dall’art. 10 della Costituzione italiana. L’Unione Europea dovrebbe adottare sanzioni per la violazione dei principi di libertà e non respingimento affermati nella carta dei Diritti fondamentali, e la Corte Europea dei diritti dell’Uomo dovrebbe finalmente condannare l’Italia per i respingimenti collettivi effettuati lo scorso anno a partire dal 6 maggio. Sempre che nel frattempo i libici non riescano a fare scomparire i ricorrenti, dando modo al governo italiano di chiedere la cancellazione della causa dal ruolo, come si è verificato altre volte in passato.

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