giovedì 17 dicembre 2009

Immigrazione, visite in carcere non vietate ai clandestini

Una circolare del Dap stabilisce che agli stranieri in visita a parenti detenuti non si chieda il documento ROMA - Allo straniero che si presenta in carcere per far visita a un familiare detenuto non dovrà esser richiesto alcun documento che dimostri la sua regolare presenza in Italia. Con una circolare 'ad hoc' il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria mette nero su bianco come il poliziotto penitenziario debba agire alla luce delle nuove norme previste dal pacchetto sicurezza che hanno introdotto il reato di immigrazione clandestina. 25MILA DETENUTI STRANIERI - I detenuti stranieri nelle sovraffollate carceri italiane sono oltre 25mila (circa il 27% del totale) e molti di essi sono clandestini. La probabilità che siano irregolari anche alcuni dei familiari che fanno loro visita in carcere è assai alta. Dal momento che gli agenti penitenziari sono pubblici ufficiali, come dovranno comportarsi ora che l'immigrazione clandestina è un reato? «Il personale del Corpo di polizia penitenziaria non dovrà richiedere allo straniero che accede alla struttura penitenziaria l'esibizione di alcuna documentazione attestante la sussistenza dei requisiti legittimanti la presenza sul territorio italiano, nè lo straniero sarà tenuto a dimostrare in alcun modo la regolarità della sua posizione», scrive Sebastiano Ardita, magistrato a capo della direzione generale detenuti del Dap. E questo vale a maggior ragione «nel caso in cui a richiedere il colloquio siano i figli minori di persone prive di permesso di soggiorno». «ESERCIZIO DI UN DIRITTO» - Ma la circolare, diramata a tutti i provveditori regionali, precisa anche che il mancato obbligo di verifica sulla regolarità dello straniero all'ingresso del carcere «non esclude che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, in qualsiasi modo venga a conoscenza della sussistenza del reato» di immigrazione clandestina «non sia tenuto, in via generale, a denunciare tempestivamente il reato all'autorità giudiziaria o ad altra che abbia a sua volta obbligo di riferire a quella». La decisione di non chiedere allo straniero in visita un documento che ne attesti la regolare presenza è stata presa - scrive Ardita - sulla base della considerazione che l'accesso per il colloquio con i familiari in carcere «non si configura come la fruizione di un servizio pubblico ma come esercizio di un diritto, tanto da parte dei ristretti quanto da parte dei congiunti». 16 dicembre 2009

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