domenica 14 dicembre 2008

L'Africa incontrata nel cuore delle Langhe

Il missionario nel ricordo del decano del collegio cardinalizio di Angelo Sodano Personalmente, ho un dovere di riconoscenza al nostro amato cardinal Massaja, perché la sua figura di intrepido missionario sempre mi accompagnò nel corso della vita, come faro luminoso sul mio cammino. Nel seminario di Asti, ove mi preparai al sacerdozio, la tipica personalità del Massaja si ergeva dinnanzi a noi circonfusa di grande luce, insieme ai santi della nostra terra, insieme a don Bosco, al Cafasso, al Cottolengo, al Marello, al Murialdo e a tanti altri benemeriti sacerdoti e religiosi che hanno scritto pagine bellissime nella storia della Chiesa. Ricordo come fosse ora l'impatto che fece in me, appena tredicenne, la celebrazione del cinquantenario della santa morte del Massaja. Tale celebrazione avvenne proprio nella bella chiesa parrocchiale di Piovà. Con i seminaristi di Asti, ben stipati in due corriere, mi avviai anch'io verso quel bell'angolo del nostro Monferrato. Fu una manifestazione che mi impressionò particolarmente, dopo aver sentito parlare diffusamente delle gesta eroiche del generoso figlio di quella terra, tanto da parte del nostro venerato vescovo monsignor Umberto Rossi, quanto da parte di monsignor Leone Giacomo Ossola, vicario apostolico di Harar in Etiopia. Le parole di quest'ultimo vescovo, cappuccino come il Massaja e profondo conoscitore delle eroiche gesta del suo confratello, mi rimasero scolpite nel cuore. Veniva proprio da quelle terre che videro l'apostolato del Massaja e ci parlava della profonda gratitudine di quelle comunità cristiane verso il loro antico pastore. Nel corso dei miei lunghi anni di servizio alla Chiesa, prima come presbitero e poi come vescovo, cercai poi di conoscere meglio la figura del Massaja; scorrendo i volumi da lui scritti per ordine del Papa Leone xiii, I miei trentacinque anni di missione in alta Etiopia e leggendo i numerosi scritti che trovavo nelle nostre biblioteche. La bella foto del Massaja, con la sua croce pettorale, con la sua fluente barba bianca e il suo inseparabile bastone, divenne familiare anche per me e sempre mi ricordava quest'eroico araldo del vangelo. Conoscendo poi meglio la storia dell'evangelizzazione dell'Africa nel secolo xix, iniziai ad associare il nome del Massaja a quelli del santo monsignor Comboni, apostolo del Sudan, del Beato Justino de Jacobis, apostolo dell'Abissinia Settentrionale. Con monsignor Comboni, del resto, il Massaja aveva grande familiarità e il Padre Justino de Jacobis fu addirittura consacrato vescovo dell'Abissina settentrionale dallo stesso Massaja, vicario apostolico dei Galla. Vorrei anzi che oggi ricordassimo insieme queste tre nobili figure di vescovi missionari, che, durante il grande impegno missionario della Chiesa italiana nel 1800, segnarono una pagina importante nella storia religiosa del continente africano. Oggi sentiremo delle relazioni interessanti sull'opera del Massaja, da parte degli Accademici qui presenti. Da parte mia vorrei solo citare le parole autorevoli del quotidiano della Santa Sede che, dopo la santa morte del nostro Cardinale, così scriveva: "Con la morte del cardinal Massaja sparisce una delle più grandi figure del Sacro Collegio, uno dei campioni più venerandi della Chiesa, uno degli uomini più benemeriti dell'umanità". (cfr. "L'Osservatore Romano" 9 agosto 1889, pagina uno). Sono parole che ben descrivono la stima e l'affetto di cui il nostro cardinale era circondato nella Curia romana. Del resto viene comunemente citata l'esclamazione che avrebbe pronunziato il Papa Leone xiii, nell'apprendere la notizia della scomparsa del cardinale, in quel 6 agosto del 1889, Festa della Trasfigurazione, e cioè la nota esclamazione: "È morto un Santo"! Certo, anch'io credo che fosse un santo, ma dobbiamo pregare perché possiamo presto venerarlo come tale sui nostri altari, insieme a tante figure di uomini generosi che hanno sacrificato la loro vita per la diffusione del Regno di Dio nel mondo intero!

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