martedì 16 dicembre 2008

Il Colonialismo e le leggi razziali

Alem Woldezghi * da ww2.Carta.org A distanza di 100 anni l'Italia è ancora preda e vittima di rappresentazioni di gloria e vendetta, quando non di amnesia istituzionale rispetto al proprio passato coloniale e al contatto con l'altro: l'immaginario collettivo degli italiani sull'Africa e sugli africani resta tuttora rappreso a forme di rappresentazione esotiche e subliminali. L'Italia repubblicana non commemora il proprio passato coloniale. Sembra solo volersi disfare del proprio passato: non ama ricordare. Eppure l'Italia democratica ha una responsabilità storica e morale nei confronti dell'ex-colonia primogenita, l'Eritrea. I sostenitori del colonialismo sono sempre stati del parere che gli italiani, al contrario degli inglesi, hanno assunto in Abissinia un atteggiamento umano e mai razzista, anche nei momenti in cui veniva richiesta particolare durezza. Secondo gli studiosi non andò così: i massacri, la sempre presente discriminazione razziale, l'esplosione del razzismo fascista possono testimoniare il contrario. Tutto il colonialismo italiano fu caratterizzato dal razzismo e dalla sopraffazione, che sono la base di ogni conquista coloniale. Del resto intervenire contro un popolo militarmente più debole dimostra violenza e prevaricazione. E' significativa l'assoluta incomprensione sempre dimostrata nei confronti di una civiltà di antica tradizione come quella eritrea che la politica italiana mirò a distruggere radicalmente. Su queste radici si sviluppò il razzismo fascista che, secondo me, si deve considerare una chiara estrinsecazione della violenza insita in tutto il colonialismo, un richiamo pesante e pressante per chi oggi non vuole chiudere occhi e orecchie di fronte alla tragica realtà. Per esempio: è possibile parlare di specifici crimini sessuali del colonialismo fascista in Aoi [Africa orientale italiana]? Di sicuro sì, se per crimini sessuali si intendono in primo luogo le forme di rappresentazione delle donne eritree e il loro sfruttamento sessuale legittimati dal fascismo per coartare forza-lavoro maschile nelle colonie ma anche l'estremo dello stupro coloniale, che in certo senso era autorizzato da quelle stesse rappresentazioni. Il fascismo dichiarò: «La donna torni a essere inferiore, suddita del padre o marito...» ma anche che i cittadini italiani non potevano convivere con un suddito africano. Non solo: anche il rovesciamento di queste rappresentazioni, conseguente alla dichiarazione dell'Impero nel maggio 1936 e poi la legge del 1937 con le sanzioni per i rapporti di «indole coniugale» fra cittadini e sudditi va letto in questo senso e porta alla luce il nesso fra politiche sessuali e razziali del colonialismo fascista. Secondo le definizioni del colonialismo fascista la donna nera era adatta solo per il sesso e quella bianca invece per il sentimento amoroso. Già il percorso di costruzione nazionale aveva portato alla definizione di un'identità razziale per gli italiani. Con la dichiarazione dell'Impero questa identità fondata sulla purezza di sangue svolse un ruolo centrale nella definizione delle politiche coloniali: la purezza razziale, intesa in senso biologico, diventò progetto, si proiettò nel futuro. In Italia, il passaggio da una coscienza coloniale a una imperiale ha implicato l'assolutizzare l'idea suprematista fondata sulla cosiddetta razza. Fra colonizzatori e colonizzati non erano più tollerabili incerti confini «razziali»: diventava necessaria una netta separazione sostenuta da una disciplina e un'auto-disciplina che coinvolgesse tutti gli aspetti della vita quotidiana. In questo processo l'antropologia andava acquisendo uno status che l'avrebbe portata al di là dell'ambito meramente scientifico o accademico per arrivare ad affrancare e sostenere le scelte politiche del regime di Mussolini. Con la guerra d'Etiopia e la fondazione dell'Impero la discriminazione razziale si trasforma, da prassi, in materia giuridica diventando legge dello Stato: l'Italia, unica fra le potenze europee, si fa promotrice di una forma di segregazione razziale che non ha paragoni in Africa se non nell'esperienza dell'apartheid sud-africano. La colonia Eritrea diviene così il primo laboratorio di sperimentazione delle leggi razziali che nel 1938 saranno estese a colpire anche la comunità ebraica del Paese. Il rapporto con l'alterità africana si basò su esclusione, violenza, sfruttamento e stragi: pagine ancora rimosse o apertamente negate, in nome di un mito fortemente radicato nell'immaginario collettivo, che continua rivendica l'atipicità italiana come se si fosse trattato di un «colonialismo dal volto umano». Non mancano in Italia seri studi storici sul colonialismo ma difficilmente hanno accesso nel circuito formativo e in quello scolastico.

Nessun commento: